il Davinotti

il Davinotti: migliaia di recensioni e commenti cinematografici completi di giudizi arbitrari da correggere

LUCIO MONTANARO
l'intervista
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340375 commenti | 64385 titoli | 25544 Location | 12771 Volti

Streaming: pagine dedicate

Location Zone

  • Film: Non son degno di te (1965)
  • Luogo del film: La sartoria De Micheli dove lavora Carla (Efrikian)
  • Luogo reale: Via Petrarca 107, Napoli, Napoli
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  • Film: Cosa sarà (2020)
  • Luogo del film: La strada dove Umberto (Pambieri) chiede a una passante le indicazioni per raggiungere Fiorella
  • Luogo reale: Ponte della Venezia, Livorno, Livorno
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ULTIMI VOLTI INSERITITUTTI I VOLTI

  • Daniel Bondì

    Daniel Bondì

  • Lorenzo Zuffi

    Lorenzo Zuffi

Nella pagina che si apre cliccando qui sono catalogati migliaia di volti di attori legati direttamente o marginalmente al cinema italiano, ognuno con nome e filmografia (davinottica e non). La pagina (e conseguentemente le schede dei film) sono costantemente aggiornate con nuove introduzioni.

ULTIMI COMMENTI

Commento di: Harden1980
Una versione povera dei tre moschettieri in cui di moschettiere però ce n'è solo uno, il simpatico McDowell, che tutto vuole fare tranne che prendere il posto del vero Flash che dovrebbe partire per la guerra ma, appunto, ci manda un sosia. Interessante e variegato il cast, dalla brava Bolkan a Oliver Reed, nemico giurato di Flash. Piccolo ma incisivo ruolo per Bob Hoskins. Non un capolavoro ma bizzarro, ironico, con splendidi costumi e scenografie. Il ritmo langue un pochino e si sbadiglia qua e là. Comunque da recuperare.
Commento di: Jena
Gunn gira in pratica un ennesimo capitolo dei Guardiani della Galassia, seppure meno brillante del terzo capitolo. Quindi gran caciara con personaggi assurdi (l'uomo squalo e il tipo a pois), demenzialità, splatter a profusione, citazionismo e alcuni momenti divertenti (la gara di accoppamenti tra Bloodsport e Peacemaker). Cinema manierista puramente postmoderno che definire cartoonesco è ormai riduttivo e di cui è difficile cogliere il senso. Elba e la Robbie gran professionisti ma incredibilmente il più cool è Cena col suo Schwarzy tontolone da cui poi sarà tratta una serie tv.
Commento di: Reeves
Non è certo il primo film realizzato mettendo insieme brani di altri film. Qui però ci sono momenti di comicità involontaria davvero imperdibili: le lunghe sequenze con voce fuori campo che racconta, Maurice Poli guardone inquadrato in primo piano con espressioni eccitate, personaggi che cambiano interprete... Il cinema popolare italiano era ormai in agonia e questo film lo testimonia.
Commento di: Ronax
Una piacevole sorpresa. La storia ha una sua presa, è girata con un buon senso del ritmo e con attori che reggono bene la parte, in particolare la combattiva Shangguann Linfeng e quello che interpreta il truce bandito ma che nel drammatico finale riesce quasi a catturare la benevolenza dello spettatore. Le location, pur nel loro minimalismo, emanano una notevole suggestione grazie anche alla fotografia dai toni caldi e sfumati. Notevole la movimentata sequenza del combattimento centrale.
Commento di: Reeves
Favoletta ecologista nella quale le componenti più forti sono un luogo dentro un'oasi che potrebbe scomparire, un delfino solitario però molto socievole che è fortemente a rischio e Giampiero Morelli che non può non innamorarsi di Vanessa Incontrada ecologa super ma capace di abiti da sera altrettanto super. E poi c'è Dino Abbrescia che fa il karaoke con le canzoni degli 88; insomma, i motivi di divertimento non mancano.
Commento di: Enzus79
Due persone solitarie si conoscono e si innamorano, ma molte cose si frappongono fra loro. Commedia con sfumature drammatiche che racconta della solitudine, della precarietà nel mondo del lavoro in un modo che rasenta il surreale. Il colpo di genio del regista finlandese è stato quello di sapere mettere insieme malinconia e ironia facendo riflettere. Dialoghi pochi ma efficaci.

ULTIMI PAPIRI DIGITALI

Prendendo il titolo dalla canzone – mai conclusa - che fece capire al resto dei Pink Floyd come fosse arrivato il momento di estromettere Syd dal gruppo (il quale la suonava in studio cambiando ogni volta il ritmo rendendo in tal modo impossibile accompagnarlo con gli altri strumenti), un documentario acclamato che in realtà poco aggiunge a quello che in tanti hanno realizzato in tema. La parabola di Syd, il "Diamanto pazzo" che fu la prima e unica mente creativa dei Pink Floyd agli esordi, che li fece nascere e li portò nel giro di un anno al successo prima di eclissarsi...Leggi tutto in un mondo alternativo figlio di una mente devastata dagli acidi, ha ispirato negli anni libri, canzoni, poesie, film, documentari, miti e leggende.

Questa produzione, partorita in parte dal compianto Stom Thorgerson, grafico compagno di scuola dei nostri che ideò per loro copertine entrate nella storia e in seguito diventato col suo studio Hipgnosis uno dei guru più apprezzati al mondo in materia, sembrava poter dire qualcosa di diverso e nuovo. E l'inizio, con sequenze surreali chiaro parto della mente di Thorgerson chiamate a interrompere saltuariamente le interviste, sembrava andare in quella direzione. Poi ci si accorge che siamo invece di fronte all'ennesimo documentario imperniato senza troppa fantasia su di una storia che i fan del gruppo conoscono a menadito, anche se - va detto - arricchita in questo caso da testimonianze di peso, di chi davvero fu a contatto con Syd. Non solo Waters, Gilmour e Mason (i tre Pink Floyd superstiti) ma anche Thorgerson stesso, Powell, le tante fidanzate di Syd di allora, la sorella, colleghi di gran nome (uno per tutti Pete Townsend degli Who, impagabile quando spiega come Barrett usasse una strumentazione sorpassata facendola suonare come "nuova"), i produttori del tempo e chi quell'epoca la visse davvero.

Dal punto di vista dei filmati d'archivio ci si rifà a quanto già circolante (quasi tutto contenuto nel box dei Floyd "Early Years"), mentre sotto il profilo delle foto d'epoca qualche bella chicca salta fuori. Deprecabile invece lo scarso uso delle didascalie: i nomi e la "qualifica" degli intervistati compaiono solo di rado e chi non li conosce farà molta fatica a ricordare chi siano dopo averli associati al nome un'unica volta. Per quanto riguarda l'utilizzo delle musiche infastidisce un po' ascoltare tanti pezzi di Syd tagliati e spezzettati: è vero che sarebbe stato impossibile farli sentire per intero, ma metterne troppi e gran parte per pochi secondi non aiuta a entrare musicalmente nel personaggio.

Si ripassano in definitiva le solite fasi nella breve carriera di Syd cercando faticosamente di far luce sugli anni successivi, quelli trascorsi a Cambridge nella casa della madre in condizioni di semi-reclusione volontaria. "Shine On You Crazy Diamond", notoriamente a lui dedicata dagli altri quattro Floyd a distanza di sette anni dal gruppo (Barrett fece la sua comparsa, irriconoscibile, negli studi di Abbey Road proprio mentre il gruppo la stava registrando, regalando all'episodio un alone mistico), così come "Wish You Were Here", aprono e chiudono, la prima sulle immagini che rievocano ricostruendola l'infanzia del nostro, la seconda sul palco del Barbican Centre eseguita da Waters, Gilmour e Mason ritrovatisi insieme per una volta durante il concerto di tributo a Barrett dopo la sua morte, avvenuta nel 2006 a sessant'anni.

Forse da un genio come Thorgerson ci si aspettava di più. HAVE YOU GOT IT YET resta comunque un buon documentario, utile soprattutto a chi poco sa della triste vicenda di Syd, la cui figura viene celebrata ricordandone il carisma, la predestinazione al successo, la versatilità del talento artistico, la voglia di vivere, quella sana follia trasformatasi troppo presto in follia autentica. Di indubbio valore - anche per gli appassionati - le interviste (molte a persone ormai defunte, come mostrano i titoli di coda), ma il resto coinvolge meno del previsto, specialmente se si considera la qualità dei registi. La versione italiana doppia quasi tutto rendendo di facile fruizione il documentario.

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S'inventa un'idea stramba che parrebbe anticipare uno svolgimento quasi parodistico o comunque da horror a buon mercato, il film: una mano di ceramica che spunta fuori tra i ragazzi che han voglia di divertirsi alle feste. Ti ci siedi davanti, la tocchi con la tua, di mano, come per stringerla, e pronunci le fatidiche parole: "Parla con me". Subito ti si presenta davanti uno spettro silente, sempre diverso e sempre orrendo. A quel punto non ti resta che dirgli: "Ti lascio entrare" e quello s'impossessa di te. Ti ingigantisce le pupille, ti fa spalancare la bocca,...Leggi tutto ti secca la pelle e ti fa dare di matto finché qualche anima pia non ti stacca dalla mano maledetta, spegne la candela e così facendo blocca immediatamente il transfer. A te resta il ricordo di un'esperienza folle, agli altri il filmato ripreso col telefonino di te che impazzisci. Un divertimento bislacco, tipicamente da ragazzini sciocchi da teen horror all'americana.

Il tutto è però realizzato con insospettabile efficacia e una buona regia, al punto che quando la mano l'aggancia chi evidentemente non doveva... la tensione sale e l'orrore cresce, con ovvia entrata in scena di effetti speciali "al sangue". E così quella che sembrava un'idea piuttosto insulsa e puerile si trasforma in qualcosa di effettivamente spaventoso, che prepara a una serie di rimescolamenti di carte parzialmente inattesi. E' insomma meno scontato del previsto, questo horror australiano che per specificare orgogliosamente la sua provenienza sostituisce al classicissimo cervo investito in strada... un canguro e che si apre con un lungo pianosequenza di un certo pregio come a voler chiarire una certa autonomia rispetto agli horror studiati a tavolino che escono a mazzi soprattutto in America.

La protagonista è Mia (Wilde), una ragazza che ha perso la madre da non molto e che vive quasi in simbiosi con l'amica Jade (Jensen) e il dei lei fratellino Riley (Bird). E' la prima a subire pesantemente alcuni effetti della mano maledetta e la responsabile di molti degli avvenimenti che si verificheranno in seguito. E' comunque apprezzabile che la linearità elementare da cui si parte evolva in cambi di prospettiva interessanti.

Non sempre il ritmo sostiene a dovere il tutto e qualche pausa in cui si resta più che altro in attesa di quanto si sa dovrà accadere si sente, ma nel complesso, anche in virtù di un finale non banale e costruito in modo intelligente, come horror trova il suo perché e ha modo di distinguersi, persino di emergere. Il make-up dei posseduti a volte è impressionante, la conduzione apprezzabilmente non schiava del solito politically correct e il tutto fila discretamente. Poi certo, il salire sopra le righe di alcuni a volte infastidisce, ma sappiamo che certi personaggi sono un po' la regola, nel genere. Il cast li impersona senza mai demeritare.

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E mentre Hollywood nel suo monster universe si lancia alla riscoperta dell'anima più giocosa, ingenua e primitiva di Godzilla, il Giappone rientra in possesso della propria creatura rilanciandone il peso specifico con ambizioni e mire ben diverse, non solo in termini di spettacolarità. Lo s'era già intuito con SHIN GODZILLA, ma qui si va oltre, costruendo il film sulla storia di un kamikaze, Shikishima (Kamiki), che nel 1945, a guerra ormai finita, in...Leggi tutto sosta per la riparazione del proprio velivolo sull'isola di Odo incontra Gojira, la bestia gigantesca. Avrebbe il compito di colpirla utilizzando la potente mitragliatrice del suo aereo, ma non ha la forza di sparare e nel frattempo il mostro fa scempio dell'intero contingente militare di stanza lì.

Rientrato in una Tokyo rasa al suolo dai bombardamenti, Shikishima vi incontra Noriko (Hamabe), una giovane che ha preso con sé una bimba orfana e ha deciso di crescerla. L'uomo resta con loro, provvedendo a pagare i sostentamenti con un lavoro particolare quanto rischioso: sminare il mare dalle pericolose bombe americane, facendole riemergere e sparandogli contro per farle esplodere. E' durante una di queste missioni che il nostro incontra nuovamente Godzilla, questa volta deciso a fare una visitina a Tokyo. Impossibile respingerlo, benché ci provino con apparente efficacia corazzate potentissime.

E' infatti il mare il primo terreno di scontro con il mostro: Godzilla vi si muove con gran disinvoltura. Si avvicina come uno squalo alle sue prede facendo spuntare dall'acqua non la pinna ma le inconfondibili creste (pronte a colorarsi d'azzurro e "alzarsi" quando è il momento di sparare il devastante raggio distruttore dalla bocca); quindi si alza imperioso, azzanna intere navi da guerra, riduce a brandelli tutto ciò che tocca, insegue a distanza minaccioso nuotando... La sorpresa migliore arriva da qui: contando su una regia che dal punto di vista spettacolare mostra numeri importanti, Godzilla ha in questo film scene davvero gustose e ben girate, che sfruttano le ampissime potenzialità della computergrafica (non sempre impeccabile, a dire il vero) per fornirci nuove prospettive della distruzione urbana di Tokyo (non mancano i vagoni del treno stretti in bocca dal mostro, vera immagine icona della saga).

Quello che invece non convince sono al solito le fasi in cui si affronta l'epica romantica della storia, soprattutto perché poggiata su dialoghi insignificanti che la regia - pur aiutata da una splendida, scintillante fotografia - non riesce a rendere scorrevoli, con pause infinite in cui si cerca di caricare di mestizia quasi neorealista i personaggi. Ma se consideriamo che ai lunghi interludi sentimentali vanno aggiunti quelli interminabili in cui la difesa organizza il complesso piano per fronteggiare l'avanzata di Godzilla e quelli in cui ci si sposta sulle navi senza che nulla accada in attesa che il mostro attacchi, è facile concludere che le due ore di durata si sarebbero potute molto facilmente stringere guadagnandoci in termini di tensione e coinvolgimento. Così restano soprattutto le buone (talora ottime) scene con il mostro al centro, che col progredire degli effetti speciali diventano sempre più incredibili, specie se - come in questo caso - accompagnate da una eccellente capacità di regalargli una grandiosità e un impatto visivo superlativi.

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Il tenente Colombo

Da sempre una grande passione del Davinotti, il tenente Colombo ha storicamente avuto sul sito uno spazio fondamentale. Ogni puntata uscita ha un suo singolo commento da parte di Marcel MJ Davinotti jr. e di molti altri fan, ma per Colombo è stata creata fin dagli albori del Davinotti una homepage personale che raccoglie non solo i commenti ma anche informazioni e curiosità su uno dei più grandi personaggi televisivi mai apparsi. ENTRA

L'ISPETTORE DERRICK

L'unico altro telefilm che col tempo ha raggiunto un'importanza paragonabile a Colombo (con le dovute differenze) sul Davinotti è “L'ispettore Derrick”. Anche qui ogni singolo episodio della serie (e sono 281!) è stato commentato, da Zender prima e da molti altri fan poi, ma con un approccio più sdrammatizzante, in ricercato contrasto con la compostezza del telefilm. Il link porta a una pagina collegata anche agli approfondimenti in tema. ENTRA

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